venerdì 8 febbraio 2008

Gli antichi racconti nelle stalle. Eccone uno «da paura»

Si scriveva ne I cavalieri antichi dell’Anonimo romagnolo (Ravenna, Longo, 1975):

Qui [nella terra di Romagna] la famiglia contadina, legata alla tradizione arcaica della mezzadria (che ignora il villaggio rurale del sud, così come la comunità della cascina del nord), si sottrae nelle lunghe sere invernali all’isolamento della casa solitaria, con la veglia nella stalla: l’unico luogo caldo e accogliente in cui ci si riunisce coi vicini, dove la vita di relazione continua, e nella quale la saltuaria presenza del «raccontatore» costituisce volta a volta spettacolo, motivo d’evasione fantastica…

Il brano che segue è un esempio di particolare «narrazione da veglia (o trebbo)» e costituiva il repertorio di Renato Cavallini di Argenta. Il figlio Giuseppe l’ha annotato di recente in un manoscritto alla buona, raccolto da Beniamino Carlotti. Non è né una favola, né una trama cavalleresca, è un racconto fantastico per adulti, apparentemente di origine antica, di quelli comunque che venivano definiti «da paura», con un evidente sottofondo moraleggiante e religioso, di stampo quasi biblico.

E’ in ogni caso una traccia, uno schema di racconto orale alquanto raro, quindi, anche solo per questo, meritevole di essere salvato. Da parte mia mi sono mantenuto il più possibile fedele al manoscritto, cercando di dare, allo scarno schema narrativo, la forma di racconto.




Leonzio e la terribile vendetta di un morto

Narrazione da trebbo dal repertorio di Renato Cavallini di Argenta (trascritta dal figlio Giuseppe).

Adattamento alla forma di racconto di Agide Vandini



Leonzio era uno dei più ricchi Lords di Londra. Non credeva né al Paradiso, né all’Inferno, né tanto meno al Purgatorio. Veniva sopranominato il «Perfido» ed amava frequentare l’alta aristocrazia della città.
Nel suo Palazzo dava parecchi festini a cui invitava soltanto Dame e Cavalieri di alto rango. Amava passeggiare e sentirsi riverito dal prossimo, cosa che, grazie alle tante ostentazioni di ricchezza, gli riusciva piuttosto bene. Al suo passaggio spesso risuonava il grido: «Viva Leonzio…».
Un giorno, nel suo solito girovagare, dopo aver incontrato ed invitato altolocate Dame e Cavalieri al Gran Banchetto serale, ebbe a passare per il Cimitero. Subito un Teschio gli andò incontro. Lui si arrestò e cercò di tenerlo a bada con qualche colpetto del bastone. Poi, colto da un’idea improvvisa, gli lanciò un invito.
«Senti, io stasera do un Gran Banchetto per l’Altissima Aristocrazia londinese. Invito anche te. Ci dirai, quando te lo chiederò, come si sta nell’Aldilà, se c’è il Paradiso ecc. Ricordati di non mancare al mio invito, altrimenti ti farò calpestare a dovere…»
Detto questo, diede subito un saggio delle profferite minacce sferrando un calcio stizzoso al Teschio che così ruzzolò per alcuni metri. Il «Perfido» proseguì poi per il suo cammino, facendo nuovi inviti fra ossequi ed inchini.
La sera, il banchetto si svolse fra clamori, lazzi, grida di allegria e brindisi in onore del padrone di casa.
Al suono della mezzanotte, però, s’udì bussare pesantemente al portone che dava sulla strada, con colpi tali che il Palazzo tremò paurosamente. Gli invitati s’inquietarono e si domandarono cosa e chi potesse mai essere a quell’ora, capace di una forza tanto spaventosa.
Leonzio chiamò il maggiordomo e gli disse: «Va un po’ a vedere chi bussa con tanta violenza: se sono Signori, li fai entrare anche se non invitati, ma se son poveri, allora bastonali, poiché sono certamente ladri o malandrini.
Il maggiordomo si attenne agli ordini; prese una torcia, scese al pian terreno ed aprì lo spioncino.
Vide muoversi nella notte un’Ombra scura che lo terrorizzò. Per poco non svenne quando l’Ombra gli disse: «Vai dal tuo padrone. Riferiscigli che io sono il suo primo invitato a questo Gran Banchetto e che ho molte cose da dirgli».
Tremante ed impaurito il maggiordomo salì dal padrone, lo chiamò in disparte, e gli riferì il messaggio dell’Ombra scura che temeva fosse in grado di attraversare anche le pareti.
«Ho capito - disse Leonzio dopo aver meditato un po’- digli che devo disdire l’impegno con lui, dal momento che qui ora siamo in pace ed allegria…»
Preoccupato il maggiordomo ridiscese le scale e balbettando ripetè all’Ombra misteriosa i desideri del Padrone. Ma questa non se ne diede proprio per inteso: «Dì a Leonzio - ribadì - che io entro con la forza, perché gli devo dire davvero tante cose…»
Il poveretto risalì al piano superiore pieno d’angoscia, riferì al padrone l’aperta minaccia e questi s’impaurì a sua volta come non mai. Radunò tutta la servitù e si raccomandò: «Servi miei, vi ordino di chiudere a doppia mandata tutte le porte del Palazzo con chiavistelli e robuste catene».
La servitù eseguì, ma gli invitati cominciarono a presagire qualcosa di grave. Non si fece in tempo a riaversi che si sentì bussare tanto forte e tanto ripetutamente che le porte del palazzo, una ad una, crollarono come le mura di Gerico. La gente impaurita, con Leonzio in testa, si alzò dalle sedie e cercò di fuggire. Fu a quel punto che l’Ombra fece la sua comparsa in mezzo al banchetto. Disse: «Fermatevi popolo mio, continuate, continuate la vostra festa, state allegri… E’ solo con te, Leonzio, che voglio parlare…»
L’Ombra afferrò con forza il «Perfido» che se la stava dando a gambe e gli disse: «Fermati, nipote mio, io sono il Teschio a cui tu sferrasti quel calcio senza ragione. Ora ti dico chiaro e tondo quel che c’è nell’Aldilà: il Purgatorio c’è, ed è per i peccatori, il Paradiso c’è, ma non per te. Per te c’è Pluto che ti aspetta».
Mentre gli invitati sparivano in fretta, cominciò ad udirsi il lamento disperato di Leonzio: «Aiuto, ahimè…». In pochi istanti una moltitudine di topi entrò nel Palazzo e prese a divorare ogni cosa alla portata dei loro denti aguzzi. I primi oggetti ad andare in fumo furono i preziosi ritratti di famiglia di Leonzio che in pochi attimi diventarono muccchietti di segatura.
Poco a poco tutto si disintegrò e perse forma. Del Palazzo, come di Leonzio, non rimase più nulla.

Signori, questa è la morale: abbiate meno superbia, fate del bene ai poveri, e temete Dio.

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