giovedì 3 luglio 2008

Dietro ai detti e proverbi dialettali


(Quando l’amore è cieco…)
di Paolo Canè

Degli oltre 200 proverbi sugli argomenti “amore, donna, uomo” che Alberto Menarini riporta nella sua monumentale raccolta “Proverbi Bolognesi” del 1971, ce ne sono tre particolarmente noti e simpatici che stigmatizzano l’amore tra persone non belle o il concetto di “amore cieco”, cioè tra una persona avvenente e un’altra che non lo è.

An i é badilàz ch’an i sèppa al só mandgàz (non c’è brutto badile che non abbia il suo brutto manico) vale a dire che non c’è persona brutta (uomo o donna) che non trovi da accasarsi con altra persona simile. E, se ci guardiamo bene intorno, vediamo che il proverbio è una vera perla di saggezza!

Al galvràn dagli ègli d’ór als farmé in vàtta a una bèla mérda (il calabrone dalle ali d’oro si posò sopra una bella…cacca!). Non è un esempio di raffinatezza, ma questo è il dialetto! Esso racconta come il bell’uomo, magari giovane e ricco (il calabrone dalle ali d’oro) che potrebbe avere una vasta e cospicua possibilità di scelta, sia andato proprio a scegliere una donna brutta, magari povera (una bella c….). Cattivo, ma non del tutto strampalato.

Sant’Antóni al s’inamuré int un ninén (Sant’Antonio s’innamorò di un maiale), un proverbio che ha il suo bravo corrispondente, quasi uguale, nel dialetto romagnolo Sant’Antöni u s’inamuré int un pôrch [baghen]. A prima vista potrebbe sembrare una frase gravemente ed inutilmente blasfema, ma al contrario ha un motivo ben preciso. Menarini spiega brevemente che il suino col quale il santo protettore degli animali (festeggiato il 17 gennaio: Sant’Antonio Abate) viene ritratto sui santini, rappresenti il “demonio soggiogato”, ma ritengo sia più giusta la spiegazione che Paola Salvi ha dato in un suo articolo apparso su una rivista del 1994.

Pare che il detto abbia origine da un evento verificatosi nell’anno 945, quando in tutta Europa scoppiò un’epidemia chiamata “fuoco sacro”, poi popolarmente “fuoco di Sant’Antonio”, poiché i fedeli accorrevano alla chiesa di Sant’Antonio Abate a Vienne (Delfinato) dove erano custodite le reliquie del santo. I malati erano tanti che dovettero costruire, per accoglierli, un ospizio nel quale essi si accorsero di trarre giovamento nello spalmarsi grasso di maiale sulle ferite. E sarebbe questo (non il demonio soggiogato) il motivo per il quale il santo viene ritratto accanto al suino! Ma è anche possibile che il maiale, se non il demonio, rappresenti la malattia vinta.

Poi, a quel punto, intervenne probabilmente la fantasia, ridanciana e dissacratoria del popolino che, vedendo un animale così poco nobile accanto ad un santo, non essendo per nulla a conoscenza del rimedio che guarì la terribile epidemia, trasse… conclusioni affrettate!

La forma espressiva” conclude la Salviè oggi usata per le ragazze che abbiano fatto oggetto del loro amore un uomo dai più ritenuto decisamente brutto…”

E infatti, quando si commenta una situazione analoga, ci si guarda in faccia increduli e si borbotta: Sant’Antóni al s’inamuré int un ninén!

Nessun commento: