venerdì 4 dicembre 2009

La storia di Pépo

I ricordi di naja di Pépo d Mariòn (Giuseppe Taroni)

di Agide Vandini


Giuseppe Taroni

(Pépo d Mariòn)

2009



Ho conosciuto Pépo d Mariòn (all’anagrafe Taroni Giuseppe, classe 1919) in una recente occasione conviviale, ospiti entrambi al pranzo dei sessantenni filesi del ’49. Mi ha raccontato, tra un piatto e l’altro, di quella strana avventura che fu la sua vita militare, una storia curiosa che, io credo, debba essere ascoltata attorno all’«Irôla» filese.

Pépo, contadino della nostra terra, se ne partì un giorno dai campi soleggiati di Filo di Alfonsine per arruolarsi, in quei primi mesi di guerra, nell’Artiglieria Alpina e lì egli dimostrò, poco a poco, doti ed inclinazioni non comuni. Andiamo, però, con ordine, sentiamo come andò la sua storia, pubblicata un paio d’anni fa su La Tradotta con un bell’articoletto di cui mi ha fatto volentieri dono (Ricordi di naja, vol.I, n.4).


«Andai militare di leva a Belluno, nei primi mesi del 1941 all’incirca verso febbraio come Artigliere Alpino . Eravamo tre sezioni, tre obici 75-13 e cercavano i serventi, io mi segnai puntatore e mi assegnarono al primo pezzo»

Qui va aperta una prima parentesi, spiegando a chi non avesse cognizioni di tiro, quanto complesso sia il puntamento indiretto ed il tiro a parabola che si pratica con l’obice, ove si utilizzano apparecchi, congegni, dati e tecniche particolari: alzo, sito, direzione e quant’altro, e si mira ad un punto diverso dal segno, detto falso scopo. Esso comporta logiche e gradi di difficoltà piuttosto diversi dal classico cannone, ove il tiro viene effettuato con puntamento diretto, ove si mira, cioè, al segno come si farebbe con un fucile.

Quanto all’importanza del primo pezzo di una batteria, la può ben testimoniare chi, come il sottoscritto, si ritrovò, ormai quasi mezzo secolo fa, a comandare proprio un semovente d’artiglieria da campagna con quel ruolo. E’ il pezzo, detto anche pezzo base, che ha il compito di fare l’aggiustamento al tiro. Quando colpisce l’obiettivo, i suoi dati vengono trasmessi agli altri pezzi e con essi spara l’intera batteria.

Seguiamo un altro brano del racconto di Pépo:


«Dopo pochi mesi andammo ai Tiri sul Nevegal: io ricevevo i dati e li trasmettevo agli altri col “baliscopio”. Cominciammo a sparare e con 17 colpi facemmo 14 centri.»

Il termine «baliscopio» mi è nuovo, ma Pépo qui dovrebbe intendere l’apparecchio ottico usato all’epoca per il puntamento, lo strumento in cui i dati venivano immessi. Quattordici centri su diciassette tiri rappresentano senza dubbio una media di assoluto valore, per non dire d’eccezione.

Va da sé che, come dirà più tardi, il merito di una precisione del genere andava condiviso con gli ufficiali, gli specialisti al tiro ed i serventi al pezzo. Riprendiamo comunque la narrazione:


«Dopo pochi mesi andammo al campo e facemmo di nuovo i tiri: con 21 colpi facemmo 17 centri: “mai successo a Belluno”. Con questi risultati premiarono tutti i militari di leva con tre giorni di licenza più il viaggio, mentre gli ufficiali vennero promossi di grado quasi tutti».

Pépo, mi ha raccontato a tavola di grandi festeggiamenti, di una licenza che in quella occasione ebbero in parecchi, ma che lui non poté godere in quanto appena tornato da casa. Ha ricordato con orgoglio una popolarità e una reputazione che si era ormai costruito coi compagni e superiori, che arrivavano a complimentarsi con lui anche per strada. Qui però la storia, nel concludersi, diventa più triste e gli occhi del novantenne filese sembrano perdere il bagliore che ha fin lì accompagnato il racconto:


«Io, come primo puntatore, sarei stato molto valido, ma mi ammalai ai piedi (sudore cattivo) e dovetti cambiare corpo. Questo è il motivo per cui non sono mai partito (per la guerra N.d.R). Quello che è stato fatto è merito di tutti».

Per quanto possa far sorridere, la bromidrosi ai piedi (forte sudorazione sotto la pianta dei piedi con cattivo odore) era, ed è, un guaio serio. Genera dolorosi bruciori nel punto di appoggio con formicolii e contrazioni delle dita. Può venire accentuata da emotività ed ansia, ma, così dicono gli esperti, è sostanzialmente un problema dermatologico che va trattato come tale. Il nostro Pépo, all’epoca non volle correre rischi. Considerate le marce e le fatiche a cui sarebbe stato sottoposto nell’Artiglieria Alpina, chiese ed ottenne di essere trasferito ad altro corpo militare. Finì nei Carabinieri, e lì prestò servizio fino alla fine della guerra.



Tutto sommato, si potrebbe dire, gli andò bene. Dalla sua guerra poté tornare alla campagna romagnola sano e salvo,a differenza, forse, di tanti vecchi compagni dei Reggimenti Alpini finiti in Russia o chissà dove.

Pépo ha l’aria però di uno che non si sia mai rallegrato di questo. Anzi.

Oggi, giunto tranquillamente e in buona salute alla sua bella età, ogni tanto ritorna con la mente ai vent’anni e, camminando su e giù nella sua vecchia stalla, rimugina ancora intorno alle grandi emozioni di quei primi mesi di vita militare, quando, dietro ai rumorosi ed oleosi pezzi d’Artiglieria, riuscì a dimostrare tanto talento, associato, va da sé, alla naturale destrezza contadina.

Colpire il bersaglio con quelle granate e con quell’obice da 75-13 pareva proprio per lui un gioco da ragazzi.

Non fosse stato per quei piedi straziati e doloranti - sembra dirci oggi Pépo con tutta la sua verve e simpatia innata-, quanto mi sarei divertito, accidenti…


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