sabato 19 febbraio 2011

Amici per il midollo

Dedicato a chi sa donare al prossimo

di Fulvia Signani

Fulvia mi ha mandato qualche settimana fa un magnifico pezzo. Parole che toccano davvero il cuore di chi, come noi, non trova sempre il modo di soffermarsi, come dovrebbe, su certi aspetti del nostro tempo e su persone che operano senza alcun clamore, nell’ombra, forti di una capacità di slancio ideale e di gesti concreti che nobilitano il nostro stesso essere uomini.

E’ con vera riconoscenza perciò verso chi opera nel grande mondo della “solidarietà” per il prossimo, che pubblico questo brano impreziosito dalla consueta freschezza e scorrevolezza narrativa di Fulvia. Mi unisco, dal più profondo del cuore, alla sua sensibilità ed ammirazione per queste preziose ‘anime belle’.

Credo che, fino a quando ci saranno persone come loro, fino a che ci sarà chi ha la forza e la capacità, nei modi più disparati, di un gesto di solidarietà, piccolo o grande che sia, innescato dal solo desiderio interiore di dar qualcosa di sé agli altri, ci sarà una speranza per tutti. Per chi è in condizioni di bisogno, ma anche, più in generale, per l’intima gratificazione dell’uomo un po’ rintronato di oggi, assalito nel quotidiano dagli strilloni di ogni genere, divenuto iperconsumista e forse un po’ frustrato.

Racchiuso nel suo bozzolo di tornaconto personale, quest’uomo insegue ossessivamente lontane chimere di ricchezza e successo e, mentre perde sempre più fiducia in se stesso, fatica a tendere una mano ai deboli, agli svantaggiati e agli sconfitti di questa terra, incapace talvolta anche del più piccolo sussulto di vera umanità. Rinunciare a qualcosa per sé per vedere un sorriso sulla bocca di un altro uomo, può allora aiutare ancor più «chi dà», rispetto a «chi riceve» (a.v.).

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Anime belle

di Fulvia Stignani

Mi avvertono che è arrivato un piccolo gruppo. Distolgo lo sguardo dal potente microscopio per le tipizzazioni, mi alzo dal tavolo di lavoro, tolgo il camice, ravvivo il rossetto. Sorrido, fremente e sorpresa che succeda. Spesso sono ragazzi e ragazze insieme, brandelli di gruppi scolastici reduci dalle esortazioni a diventare donatori di midollo. E loro rispondono. Li spinge il desiderio di salvare la vita ad un bambino, un uomo, una donna affetti da leucemia o mieloma. Le pratiche necessarie al prelievo hanno un notevole margine di pericolo, ma loro si sostengono l’un l’altro e poi, al momento giusto, intervengono le famiglie. I legami degli affetti messi a nudo in uno spazio ristretto, in un tempo variabile. La ricerca della compatibilità, può far loro trovare un fratello o una sorella putativi nelle parti più diverse del mondo, persone con un’uguaglianza pregnante, strutturale, di sangue e ossa. Non si conosceranno mai, sarebbe ingiusto. Il salvato si vincolerebbe ad una gratitudine perenne. Il salvatore, verrebbe tentato ad una prevaricazione impropria.

Diventiamo amici, quasi subito, al di là di tutto, ‘amici per il midollo’ dice Paolo, un arguto biondino con occhialetti blu ed il fare di chi si vergogna di essere un secchione. Con il suo gruppo sono andata già alcune volte a mangiar la pizza, lui trova un momento appartato, per raccontarmi dei suoi voti, otto e nove che farebbero orgogliosi i genitori più riluttanti. Me li comunica senza vanteria, quasi con timidezza, penso sia un suo modo per confermarmi che è all’altezza di ciò per cui si è offerto

A volte qualcuno dei donati scrive senza firmarsi. Non posso leggerle a loro, sarebbe un travaso di emozioni troppo forte. Riservo queste preziosità ai miei compagni di laboratorio. Ieri, nel silenzio e nella luce rarefatta del pomeriggio, ho letto ad alta voce una lettera, era in una busta dentro un’altra busta, spedita da chissà dove, mediata da un amico o amica di Bologna.

‘Gentile signora o gentile signore, mi rivolgo a lei che non so nemmeno come sia, che viso abbia, che età, credo, e vita. So solo che è il mio tramite con il mio donatore. Desidero confermarvi quanto è importante e, permettetemi, vitale, ciò che fate, ciascuno nelle proprie funzioni. E vado a raccontarvi il mio perché. Era febbraio ed io avevo appena terminato uno dei tanti colloqui con il medico. Una persona degnissima, ma diretta fino alla crudeltà: ‘se non trova un donatore, non arriva all’estate’, mi ero appena sentito dire. Uscito dall’ambulatorio, ero frastornato e la vista di mia moglie e mia figlia mi aveva prostrato. Non avevo cuore di riferire, e loro non osavano chiedere. Mia figlia, forse intuendo, mi annunciò ‘Papà, aspetto un figlio, nascerà in piena estate’. Quelle parole, stridenti con la mia angoscia di morte, rappresentarono un segno. Mi aggrappai all’idea di quel bambino come alla vita. Dovevo vederlo nascere, crescere, dovevo raccontargli della mia infanzia, dei suoi bisnonni. Dovevo superare le tante difficoltà e i timori che l’attesa diventasse solo la mia fine. Poi, arrivò l’annuncio che avevano trovato un donatore, poi di nuovo dottori, poi di nuovo ospedali, poi operazioni, poi… Poi sono qui, ad organizzare, insieme a mia moglie, la festa a sorpresa per il terzo compleanno di Diego, il mio nipotino. A differenza dei bimbi della sua età, ama i sapori aspri. Voglio preparargli una fresca bavarese al kiwi e limone. Sa d’estate. Concentrato, rispolverando vecchi passatempi, mescolo gli ingredienti alla ricerca della perfezione di gusto e consistenza. Ripongo tutto me stesso in questo alimento che immagino di donare a chi mi ha ridonato la vita. Lo sogno spesso, a volte è uomo, ragazzo, a volte ragazza dolcissima, con un viso spettacolare che quando lo racconto a mia moglie, ne è gelosa. Succede sempre che ci incontriamo per caso, tra la folla, ma, ogni volta, qualcosa fa si che capiamo al volo che cosa ci unisce e ci abbracciamo, avvolgenti, come abbracciassimo noi stessi. Non trovo mai le parole giuste e ripeto sempre solo, come un mantra: grazie, grazie, grazie. Così, semplicemente grazie. Poco per raccontare la serenità, la gioia, la vita che sento, vedo, respiro, vivo, ora.’

Finita la lettura, con i colleghi di solito decantiamo le emozioni in solitudine, ma ieri i nostri occhi lucidi si sono cercati.

Quando mi avvertono che sono arrivati, raggiungo con rapidità la sala d’attesa. li voglio accogliere con calore. Li osservo. Sono emozionati, quasi febbricitanti, li si direbbe ragazzi normali, ma io vedo la loro aura, una luce speciale. Cerco i loro occhi, scruto, come microscopio, il profondo delle pupille e trovo sempre ciò che cerco: l’anima bella.

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