giovedì 16 gennaio 2014

Quel tragico 1944 a Filo...



Settant’anni dopo, la memoria di un paese martoriato (1)
di Agide Vandini

Appena pochi mesi fa (7 agosto scorso) la proiezione in sala pubblica a Filo di una copia digitalizzata de’ «L’Aquilone sul Reno», ci ha fatto capire, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto frammentaria, talvolta carente, risulti la documentazione e la narrazione sin qui proposta, bibliografica e cinematografica, intorno al tragico e sanguinoso 1944 filese. Si tratta di eventi basilari della nostra storia che toccarono profondamente il paese durante l’occupazione nazi-fascista, eventi di cui ricorrerà nei prossimi mesi  il 70esimo anniversario.
Il filmato, dedicato a quanto avvenne nei dintorni di Argenta durante la seconda guerra mondiale, fu realizzato a metà degli anni ‘90 sotto la regia di Andrea Barra e sponsorizzato da una Coop Costruttori al tempo assai sulla cresta dell’onda. La realizzazione del progetto si avvalse, oltre che di attori locali, di molte testimonianze raccolte con passione e meticolosità fra gente che custodisce con orgoglio e fierezza le sue memorie, ben cosciente del prezzo, enorme, pagato, qui, per la conquista della Libertà e della Democrazia. Grande fu a Filo il contributo dato alla Resistenza e tante le irreparabili perdite umane che accompagnarono le devastazioni delle nostre case, in particolare nei giorni del passaggio del fronte bellico nel territorio fra il Reno e le Valli di Comacchio, in quella che porta il nome di battaglia dell’Argenta Gap (la stretta di Argenta) una delle battaglie più importanti della Campagna d’Italia nell’ultimo conflitto.


All’epoca in cui furono girate le scene, io accompagnai ad un colloquio col regista mia sorella, testimone diretta dell’evento tragico che aveva comportato la morte di nonna Agida Cavalli. Carla raccontò con grande emozione ogni minimo particolare della terribile esperienza vissuta da bambina, cercammo insieme di spiegare come quell’avvenimento si inquadrasse nell’annosa vicenda di persecuzione politica di nostro padre e come la decisione di sopprimerlo da parte dei repubblichini fosse avvenuta a fine febbraio 1944, quando a Filo non si respirava ancora il clima di battaglia militare e in un periodo in cui il movimento di Resistenza, appena agli albori, non poteva ancora preoccupare seriamente gli occupanti nazi-fascisti. Spiegammo come e perché babbo Guerriero e il suo designato compagno di fucilazione (Matulli Giovanni detto Gianêl) ebbero salva la vita per il  sacrificio della nonna, un rilascio che intendeva essere un gesto riparatore e che soltanto qualche mese dopo, nel clima esasperato e di violenza spietata che si instaurò coi fascisti e i tedeschi alle strette, non sarebbe stato possibile, violenza che determinò, come sappiamo, ulteriori persecuzioni, rappresaglie e morti atroci.
Nel film purtroppo non trovò posto nulla di tutto questo; la scena dell’uccisione, forse esigenze scenografiche e narrative, fu proposta con una dinamica diversa dall’accaduto e soprattutto collocata temporalmente in modo errato. Il fatto viene proposto addirittura dopo l’eccidio dell’8 settembre 1944 e persino dopo la sparatoria partigiana sugli argini del Reno del gennaio 1945, quasi che fosse avvenuto a ridosso del passaggio del fronte, senza accennare minimamente agli esiti finali della spedizione fascista. Nulla si dice sulla conclusione, lungo la scarpata della strada provinciale in località Civettara, sul rilascio all’ultimo momento dei prigionieri già pronti per l’esecuzione, con una decisione che sorprese persino i due perseguitati, per fortuna  ignari delle condizioni disperate della donna trasportata all’ospedale in fin di vita. Non aver rappresentato questo aspetto, ha significato togliere allo spettatore la possibilità di capire come e perché il gesto e l’estremo sacrificio dell’Agida fu, non solo coraggioso ed eroico nel suo slancio di madre, ma utile e determinante per la vita del figlio e del suo compagno di lotta politica.
La vita di Ghéo e Gianêl fu risparmiata, di fatto, davanti alla vergogna di avere, con uno spiegamento di forze del genere (ben 12 brigatisti neri fatti venire da Migliaro, Migliarino, Dogato e Massafiscaglia) colpito ed ucciso a tradimento una donna, forte e temeraria, ma pur sempre una donna. Seguendo il filmato non si capisce neppure quale fine abbia mai fatto l’antifascista prelevato da casa, un silenzio che indurrebbe a pensare alla sua soppressione. Eppure, se così fosse stato, chi scrive (e porta il nome della nonna) e che all’epoca spiegò tutto al regista, non sarebbe nato 20 mesi dopo.
Chi volesse documentarsi un po’ meglio intorno a questo fatto che appartiene ormai alla storia di Filo può farlo consultando a fondo questo blog, oppure leggere l’articolo rievocativo di Renata Viganò («Una madre della Resistenza», Noi Donne, 27.4.1952) ripubblicato e corredato di note integrative in A.Vandini, Sotto l’ombra d’un bel fior, Faenza, Edit, 2005, pp. 67-68. La scadente ricostruzione cinematografica ci suggerisce tuttavia che si può e si deve fare di più, raccontando meglio ciò che avvenne a Filo in quel tragico 1944.
Intorno all’eccidio dei dieci filesi, ad esempio, avvenuto alla data dell’8 settembre 1944, sei mesi dopo la morte dell’Agida e quattro mesi dopo la vile eliminazione di un uomo come Mario Babini, vero trascinatore dell’antifascismo filese, i cineasti ferraresi devono aver ricevuto altrettante testimonianze accorate. Ricordo che all’epoca nella saletta della Casa del Popolo di Filo si tennero affollate riunioni e dibattiti sull’argomento.
Com’è stata possibile allora una introduzione delle scene del misfatto con parole in grado di lasciare allibiti i filesi? Si è udito recitare nella proiezione pubblica: “Avvennero episodi terribili come l’uccisione di dieci cittadini, cinque di Filo e cinque delle località vicine, per rappresaglia…”, un commento al limite del ridicolo, arcinoto com’è, a Filo e non solo, che quei poveri corpi insanguinati e quelle dieci famiglie distrutte erano tutte e soltanto del nostro martoriato paese, circostanza, di per sé, nella logica folle della rappresaglia nazista.
Ancora sbigottito, arrabbiato con me stesso per non averlo notato prima, ho voluto riascoltare e rivedere per l’ennesima volta la raccapricciante scena nella copia del filmato in mio possesso (una digitalizzazione casalinga della videocassetta comperata a suo tempo) e sono rimasto di stucco. Nella mia copia (Edizione dell’Aprile 1995) la voce di Raul Grassilli recita ben diversamente: «Avvennero episodi terribili come l’uccisione di dieci cittadini di Filo d’Argenta[1], per rappresaglia, dopo la morte di un soldato tedesco…».
Più che tranquillizzarmi, il fatto ha reso evidente come in giro ci siano copie sbagliate e pasticciate del film, copie che evidentemente non vennero mai sostituite. Non ho peraltro mai saputo di opportune note di “errata corrige”. Sta di fatto che chi ha digitalizzato la copia proiettata in pubblico in questi giorni non sapeva dell’esistenza della versione riveduta e corretta.
Peccato. E’ davvero triste avere avuto una simile possibilità di spiegare alle future generazioni le tragedie della guerra nell’argentano, aver potuto contare sulla partecipazione entusiastica di così tante persone, ed averla in parte sprecata, pasticciando in modo tanto maldestro i fatti filesi rappresentati, ed aver reso in sostanza il filmato, per le sue imprecisioni, scarsamente utilizzabile a scopo storico-documentaristico e didattico.
Vero è che il film fu concepito con un taglio “narrativo” ove la realtà, i fatti avvenuti, sono collegati ad una vicenda del tutto fantasiosa, pur verosimile, la vicenda personale del giornalista che tiene insieme il racconto. Per questo suo taglio romanzesco o, se si vuole, per le discrete performances di attori improvvisati e qualche buona ricostruzione ambientale, il filmato merita di essere proposto. Difficile invece è distinguere nel filmato la realtà dalla fantasia, e viceversa, almeno per la parte «filese»,  da parte di chi non visse gli avvenimenti o non ha avuto, come noi, la possibilità di udire le tante testimonianze dell’immediato dopoguerra.
Credo allora che, intorno all’eccidio, ma anche agli altri tragici fatti filesi del 1944, visti i limiti e l’ambito circoscritto dei resoconti fin qui pubblicati, sia giusto scrivere ancora qualcosa, raccogliendo e mettendo ragionevolmente assieme racconti e testimonianze di chi visse direttamente o indirettamente gli eventi, in modo che la “finzione” o “l’approssimazione” non finiscano per sostituire, un giorno, la verità storica. E’ quel che, con impegno, mi ripropongo di fare in questo blog in altre quattro consistenti puntate settimanali.
                                                                                                                        (1/5 - continua)


[1] Un «d’Argenta» che, come avviene purtroppo assai spesso, è sempre di troppo quando ci si riferisce al paese nel suo complesso, articolato, com’è noto, in due frazioni di comuni diversi. Alcuni dei trucidati infatti erano di Filo d’Alfonsine.

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