giovedì 7 maggio 2015

Il tandem



Memorie dal  «Quaderno»
di Giovanni Pulini


 Con questa mia memoria vorrei cercare di dare un vissuto ad un periodo, dal 1940 al 1943, quando la miseria era un luogo comune e nessuno ci faceva più caso.
 Tutta la mia famiglia era  impegnata in un lavoro in proprio: mio padre prendeva in affitto terreni ed argini per la fienagione. Il foraggio, in quel periodo, era molto ricercato in quanto l’Italia era entrata in guerra con un Esercito dove il cavallo ed il mulo erano i mezzi di trasporto.
Mio padre acquistò un cavallo e noi costruimmo un biroccio. In famiglia erano disponibili solamente due biciclette che dovevano essere condivise da otto persone, quali erano i componenti della mia famiglia,  perciò il cavallo, ed il biroccio, ci servivano come mezzo di trasporto sia per persone che utensili da lavoro.
Io ero il cocchiere della famiglia, governavo il cavallo, ero il responsabile del nostro mezzo di trasporto. La fienagione era solo stagionale, per lo più estiva, e nei periodi morti offrivo piccoli trasporti per chiunque ne avesse avuto necessità.
 Nel mio paese, Filo, un signore vendeva mobili, ma non aveva mezzi di trasporto autonomi cosicché chiese a mio padre se potesse fare trasporti per suo conto col nostro cavallo e biroccio. Il lavoro consisteva nel recarsi a Lugo di Ravenna, caricare mobili e portarli dalla fabbrica al negozio e da qui, una volta venduti, al cliente finale. Era un lavoro che mi piaceva, che mi faceva sentire importante, mi faceva sentire già uomo, nonostante fossi poco più di un ragazzo. Casimiro Beppino Andalò, questo era il nome del mobiliere, era una gran brava persona e alcune volte, recandomi a Lugo con lui, mi portava a mangiare in trattoria e ciò mi dava modo di ingerire cibo che a casa mia non si mangiava.
Un giorno Casimiro mi disse di passare dal negozio che aveva qualcosa per me: mi regalò un tandem, modernamente accessoriato, poiché ben conosceva le esigenze della mia famiglia.  Dal mio punto di vista non era solamente una bicicletta, ma rappresentava un mezzo che mi dava un tono di benessere; al mio paese, Filo, non c’era nessun altro che avesse questo privilegio.




Il lavoro mi aveva fatto crescere in fretta, il mio fisico era maturato presto, a sedici anni avevo già una barba da uomo, avevo già scoperto il sesso, frequentavo persone più grandi di me, i miei amici avevano superato i venti anni, fumavo qualche sigaretta offertami da Casimiro, uomo benvoluto da tutti e buon padre di famiglia: venne fucilato, insieme ad altri,  l’8 settembre 1944.
 Solamente coloro che erano ragazzi in quel periodo possono capire il disagio che esisteva fra ricchezza e povertà.  Spesso andavo in giro nei paesi limitrofi per farmi vedere sul tandem e per questo oggetto di lusso ero spesso invidiato.
La memoria mi riporta vividamente ad un episodio di quel periodo.

 Durante il mese di maggio del 1943 spesso la domenica, noi amici e ragazzi,  andavamo in gruppo a Porto Corsini, oggi Marina di Ravenna. Si partiva presto al mattino con una sporta di pane, la frutta l’avremmo rimediata durante il tragitto, ma non sempre si avevano i soldi per comprare il companatico. Mio fratello ed io ci sentivamo soddisfatti del nostro tandem anche se nella sporta portavamo solo pane.
 La strada che da Ravenna porta al mare costeggiava il porto canale e, sulla parte opposta,  alcune bancarelle vendevano un po’ di tutto; in una di quelle gite comprammo mezzo chilo di pesciolini fritti, una spesa che non sempre si poteva fare e non ricordo come quel giorno avessimo i soldi per farlo. I costumi da bagno si prendevano a noleggio e questo dava il diritto di depositare le biciclette oltre all’uso di un capanno dove si potevano lasciare vestiti e borse. Noi ragazzi gironzolammo un po’ per la spiaggia quasi deserta, i villeggianti erano pochissimi ed in quegli anni non c’era turismo di massa.
Verso mezzogiorno, dopo aver recuperato le nostre sporte, stendemmo dei giornali a terra a guisa di tovaglia e,  a ridosso di una duna vicino alla pineta, cominciammo il nostro pranzo; dopo pochi minuti uscirono dalla pineta due ragazze in costume da bagno: erano ragazze mature ed il loro abbigliamento rispecchiava una classe sociale benestante. Ci diedero un’occhiata, ma il loro sguardo rimaneva più fisso sul cibo che avevamo preparato, ci superarono di qualche passo poi,  rivoltandosi verso di noi, ci chiesero dove avessimo preso il pane. Ci guardammo rossi in viso per l’imbarazzo e Mario, che era il più grande del gruppo, le invitò ad unirsi al nostro “pranzo”: addentarono il pane e ci fecero un’infinità di complimenti per la bontà dello stesso. Noi ragazzi per la vergogna non aprimmo più bocca!
Dopo poco un uomo, padre di una delle ragazze, arrivò e le rimproverò, le due si giustificarono dicendo che mai avevano mangiato un pane di qualità così eccellente, il signore non poté verificare poiché del pane non c’era più traccia! Ci chiese dove lo avessimo acquistato e Mario spiegò che la madre, il giorno precedente, ne aveva fatto tanto che sarebbe bastato per una settimana intera. Il signore chiese a Mario, dietro compenso, se potesse averne. Per noi, che non avevamo mai una lira in tasca, la proposta ci sembrò allettante, Mario stesso si offrì di andarlo a prendere, nonostante Filo distasse una trentina di chilometri, e rassicurò che sarebbe stato di ritorno verso sera. Il signore gli consegnò un biglietto da visita pregandoci di presentarci all’Hotel Miramare, dove villeggiava con la famiglia. Mario fu di ritorno verso le diciotto e andammo tutti all’Hotel. All’entrata fummo fermati dal portiere che, nonostante il biglietto che gli stavamo mostrando, incredulo minacciò di chiamare le guardie se non ce ne fossimo andati via. Fortunatamente arrivò il destinatario di quella sporta e spiegò che lui stesso ci aveva invitati. “alle ore venti vi aspetto per la cena” ci disse, prese la borsa con il pane, ma, con nostra grande delusione, non ci diede danaro. Accettammo l’invito seppure con un certo imbarazzo; se ci avesse dato prima i soldi…prima di cena…avremmo tagliato la corda ed il Commendatore, così riportava il biglietto da visita, ma noi non conoscevamo il significato della parola,  non ci avrebbe più visto! Noi ragazzi aspettammo, seduti sopra ad un muretto, le ore venti osservando un grande orologio appeso ad un muro di fronte a noi. Ci presentammo puntuali, ci fecero accomodare in una saletta dove un lungo tavolo era apparecchiato e sopra vedemmo il nostro pane. Arrivarono i commensali, tutti vestiti elegantemente a differenza di noi che non avevamo abiti adatti, ma avevamo il pane, la gioventù e il tandem! Fu offerto un aperitivo in piedi e, mentre gli ospiti parlavano di tutto,  noi ragazzi facemmo gruppo da soli. Finalmente tutti a tavola e  finalmente ci rilassammo in quanto nessuno faceva attenzione a noi. L’attenzione di tutti era rivolta al pane, oggetto di ovazioni. Furono serviti un risotto di pesce prima  e pesce bollito per secondo. Al momento della frutta ci trovammo in difficoltà e nessuno di noi la mangiò: non avevamo mai usato le posate per pulire la frutta e ci giustificammo dicendo che ogni giorno potevamo averne a volontà.
Nel frattempo si era fatta notte e quando Mario  propose di avviarci verso casa il Commendatore gli diede cento lire e ci disse che l’Hotel ci aveva messo a disposizione un motocarro, parcheggiato all’esterno, per riportarci a casa. Caricammo nel cassone le biciclette, il tandem e durante il tragitto ognuno raccontava le proprie emozioni e si rideva a crepapelle. Giunti a casa Mario volle dividere il danaro fra tutti noi, ad ogni costo.
 Quella fu l’ultima estate che trascorremmo con gioia e sonore risate.
 Alla fine del 1943 non si rise più e nel 1944, con il “Decreto Graziani”, si dovettero prendere decisioni importanti.
Mario Guerra, per sfuggire ad una eventuale fucilazione, andò coi Partigiani sulle montagne emiliano-romagnole  dove, in uno scontro con la brigata nera, fu ferito e, portato a Bologna, venne fucilato.
 Anch’io dovetti andarmene di casa per non essere preso e subire la stessa sorte di Mario (Giovanni Pulini, Aprile 2015).

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